di
Domenico Massaro
Negli ultimi decenni la cultura dei sistemi
formativi ha subito profonde trasformazioni. La società complessa, con le sue
conquiste tecnologiche, le innovazioni economiche e gli sconvolgimenti nella mappa
geo-politica, sta ridisegnando lo scenario in cui si collocano la formazione e
l’istruzione. In questo contesto, nei documenti ufficiali degli organismi
internazionali come nelle buone pratiche,
avanza una “cultura delle competenze”, che, senza negare l’importanza delle
“conoscenze”, mette l’accento sugli obiettivi strategici e di lunga durata
dell’istruzione. Tra le sperimentazioni più significative a livello
istituzionale ricordiamo che proprio sulla verifica delle competenze si
incentra la ricerca OCSE – PISA (Programme
for International Students Assesment), che da molti anni ormai valuta le
competenze degli allievi di 32 paesi in relazione alle scienze, alla matematica
e alle lingue (tra cui la comprensione dei testi, che è anche un obiettivo
della filosofia).
Siamo di fronte a un mutamento del tradizionale paradigma
culturale e didattico che, al contrario, privilegiava in modo pressoché
esclusivo le conoscenze e i contenuti disciplinari. Questo rinnovamento dipende
in larga misura dal fatto che oggi diventa sempre più difficile rincorrere le
innovazioni, che hanno subito un’accelerazione mai prima registrata e,
pertanto, si fa sempre più pressante il bisogno di investire in una formazione
che si proponga l’obiettivo di stimolare la cosiddetta “intelligenza duttile”,
che si esprime soprattutto nella capacità di imparare ad apprendere.
Parlare di “competenze”, per quanto il
termine sia spesso adoperato in modo non univoco né lineare, comporta uno
spostamento dell’attenzione dall’insegnamento all’apprendimento, dall’elenco
dei contenuti alla definizione degli obiettivi e delle capacità che si
intendono attivare. In questo modello, altresì, il sapere non viene più
concepito come qualcosa di enciclopedico, ma come un’impresa selettiva, oltre
che comune e collaborativa (anche grazie a Internet e alla web-community),
finalizzata allo sviluppo di abilità trasferibili da un campo all’altro e di un
atteggiamento creativo nella risoluzione dei problemi.
Schematicamente possiamo riassumere il
campo delle competenze come la risultante dinamica delle seguenti tre
componenti:
-
Conoscenze
-
Abilità
-
Atteggiamenti critici e creativi
Come
si vede, il paradigma della “competenza” tende a stabilire un intreccio
positivo tra i seguenti elementi:
-
Uso e padronanza delle conoscenze
-
Formazione di abilità logiche e argomentative mature
-
Applicazione delle suddette abilità in contesti rinnovati o inediti
Quanto abbiamo appena detto in termini
generali trova piena rispondenza nella didattica filosofica, come è venuta
profilandosi in special modo a partire dai cosiddetti Programmi Brocca, che
hanno avuto il merito di segnare una discontinuità rispetto alla tradizionale
pratica trasmissivo-ripetitiva e che costituiscono ancora un punto di
riferimento importante. Le sperimentazioni e le “buone pratiche” di
insegnamento degli ultimi decenni hanno mostrato come sia possibile (anzi,
opportuno) arricchire l’offerta didattica con una formazione che miri non solo
al conseguimento delle conoscenze, ma anche all’uso di strategie conoscitive,
euristiche, analitiche e argomentative, tipiche del fare filosofia. Alla formazione storica, propria della nostra
tradizione, oggi appare sempre più opportuno affiancare gli spunti più
significativi che ci vengono dallo stile analitico, che è maggiormente attento
alle cosiddette “questioni di verità”, vale a dire, all’analisi e alla
definizione dei concetti, alle procedure argomentative, alla struttura
dell’inferenza e della consequenzialità logica, in una parola: alla chiarezza e
al rigore sia linguistico che logico.
Possiamo ritrovare i concetti appena
esposti sull’insostituibile ruolo della filosofia nel formare nei giovani le competenze critiche (critical skills) in una fonte di grande
autorevolezza rappresentata dall’UNESCO, che in un suo recente documento
preparatorio (Draft) della sezione di Philosophy and Human Sciences –
The Unesco Strategy on Philosophy – scrive:
The importance of philosophy to the work of UNESCO is evident.
Philosophical analysis and reflection are undeniably linked to the
establishment and the maintenance of peace, the core mission of the
Organization. By developing the intellectual tools to analyze and understand
the key concepts such as justice, dignity and freedom, building capacities for
independent thought and judgment, enhancing the critical skills to understand
and question the world and its challenges, and fostering reflection on values
and principles, philosophy is a ‘school of freedom’.
E più avanti il
succitato Draft precisa meglio il senso
e il ruolo della filosofia, nella sua funzione di rigorosa analisi concettuale,
quando osserva che:
The major issues
dealt with by the Organization, such as education for all, cultural diversity,
the ethics of science, human rights, knowledge societies, democracy, and
intercultural dialogue and dialogue among civilizations, need not only to have
a solid philosophical foundation but also analytical and conceptual rigor. An
incessant critical analysis on concepts, norms and standards implied in the major
programmes of UNESCO is necessary for enhancing effectiveness and relevance.
In breve, lo studio,
l’insegnamento e la ricerca in campo filosofico (specie quando quest’ultima si
sforza di uscire dai tradizionali confini accademici per dare il proprio
contributo attivo ai problemi contemporanei) costituiscono una risposta di
lungo termine e di ampio respiro alle questioni di cui si occupa l’UNESCO, che
in quanto organizzazione intellettuale ed etica, gioca un ruolo di primo piano
nel cercare di creare lo spazio pubblico in cui il dialogo possa acquistare
un’autentica dimensione internazionale, aperta a tutti. Un dialogo che,
nutrito dai concetti e dalle idee dei pensatori (thinkers), possa altresì essere ascoltato da chi deve prendere le
decisioni (decision-makers): “The
connection between reflection, debate and action will be re-enforced by
bringing together thinkers, policy-makers and the civil society. The main
challenge will thus be to make a link between research and action” (Ivi, p. 5).
E’ in questo contesto
innovativo che oggi possiamo collocare gli obiettivi dell’insegnamento
filosofico: quest’ultimo viene a configurarsi come contributo essenziale alla
formazione nei giovani del “pensare critico”, espressione che, come è noto, nel
mondo anglosassone suona come critical
thinking e che gode di un notevole
successo. Il “pensare critico”, infatti, è una macro-competenza, che al suo
interno comprende un’ampia gamma di abilità innegabilmente legate alla
filosofia, perché insegna come evitare i ragionamenti scorretti, i concetti
confusi, le evidenze inadeguate, le fallacie logiche, e si propone di
consolidare nelle persone atteggiamenti ragionevoli in modo tale che esse siano
in grado di far discendere una conclusione dalle sue premesse, sappiano valutare
gli argomenti portati a difesa di una tesi, sappiano porre correttamente le
domande (cfr. “Questioni di verità”, 2005). Al “pensare critico” appartiene
anche la capacità di riportare al contesto di origine un’idea (o una posizione
teorica) e saperla attualizzare, naturalmente in modo problematico. In estrema
sintesi, dunque, le aree di competenza della formazione filosofica quale oggi
si viene profilando con sempre maggiore chiarezza possono ricondursi alla
seguente classificazione che, per quanto necessariamente incompleta,
costituisce un buon punto di riferimento per la didattica:
-
Problematizzare -
Attualizzare
-
Storicizzare –
Contestualizzare
-
Analizzare – Interpretare
-
Argomentare – Dialogare
-
Comunicare (anche in forma
scritta e mediante Internet)
Queste abilità coprono e, al tempo stesso,
esplicitano la nozione polisemica di “pensare critico”. Infatti, mentre la storicizzazione disloca il soggetto nel
passato (più o meno lontano), la problematizzazione
riporta al nostro presente la parola dei filosofi e la rende utile per
progettare il futuro. La storicizzazione e la problematizzazione sono momenti
necessari e inscindibili della formazione filosofica di base e costituiscono il
contesto dell’argomentazione. Senza
la capacità di contestualizzare i problemi e le soluzioni, infatti, non saremmo
in grado di avere una veduta ampia e sistemica della realtà, ma le idee e le
suggestioni della tradizione saranno tanto più interessanti quanto più sapremo
rileggerli alla luce dei problemi dell’oggi. Tale è la dialettica dello
sviluppo civile e tale è la dialettica dell’esperienza filosofica. Possiamo
dire questo concetto anche con parole diverse, ossia che è proprio della
filosofia ciò che in qualche modo appartiene alla conoscenza (scientifica) in generale,
e cioè articolare analisi e sintesi, veduta del particolare e veduta
dell’insieme. Se la dimensione storica ci collega al passato e ci permette di
acquisire una visione ampia e prospettica delle cose, l’approccio problematico
ha una sua fecondità teoreticamente euristica e ci mostra la dimensione mai
conclusa e sempre aperta della filosofia, che in tal modo si prospetta come il
territorio della “meraviglia” (cfr. Platone, Teeteto 155 d; Aristotele, Metafisica,
A 2, 982 b). Dopo esser passati per l’esperienza
della storia e la fatica del
presente, possiamo guardare con più chiarezza in noi stessi, una volta che
abbiamo provveduto a ripulire i vetri dei nostri occhiali. L’argomentare le
nostre ragioni sarà ora operazione più agevole e meno ingenua, specie se
derivante da una didattica mirata alla formazione delle abilità logiche di base
(logica informale).
Bibliografia minima
P.
Hadot, Esercizi spirituali e filosofia
antica, nuova edizione ampliata, Einaudi, Torino 2005 (€ 17,00).
D.
Massaro, Questioni di verità. Logica di
base per capire e farsi capire, Liguori, Napoli 2005 (€ 11,00).
www.treccani.it/site/Scuola/nellascuola/area_scienze_umane/archivio/insegnare_filosofia/massaro.htm.